Prologo:
<<Stufati e
torte con il frak>>
Sam non era convinto di come fossero le sue mani.
Le guardò per un attimo, seguì con gli occhi la loro linea ossuta e sottile,
poi prese la gomma cancellò le dita dalle nocche in su. Sbuffò. Così non
andava. Riprese la matita e ricominciò da capo. Poi sollevò il foglio, lo fissò
in tralice, inclinando la testa leggermente a destra e socchiudendo lievemente
gli occhi. Lo allontanò, poi lo riavvicinò.
Si sussurrò il nome per convincersi della sua
esattezza.
Mr Eye…Mr Eye…
Chissà perché gli era saltata in mente quella idea.
Forse era tutta colpa dello stufato. Forse gli era rimasto nello stomaco.
Sbuffò ancora.
Cazzo, per una volta che si era sentito di essere
sulla strada giusta, perché tanti dubbi?
Inforcò gli occhiali ed avvicinò ancora di più il
foglio alla finestra. Disegnò da capo le mani.
Mr Eye…Mr Eye…
Pigiò con la matita sulle labbra.
Perché non parli? Si disse. Ma non si rispose.
Stupido pagliaccio…
Poi iniziò a colorare.
No, non andava. Decisamente non andava.
Cancellò di nuovo qualche particolare. Lo
ridisegnò. Poi inserì una scena. Un cavallo. No, non un cavallo normale. Mr Eye
non poteva avere un cavallo vero.
Una giostra! Uno di quelli tipo Mary Poppins, che
girano, girano, con quella musichetta sciocca di sottofondo.
Un Re Matto su una giostra per bambini.
Mr Eye…
-Sam…?-.
Per un attimo gli parve quasi di aver sentito dire
il suo nome. Sam fissò ancora il foglio, poi ridefinì la bocca. Tracciò qualche
screpolatura sul cavallo e decorò i finimenti. Lo sfondo grigio chiaro e scuro.
A righe dritte, dall’alto al basso.
-Sam…?-.
Di nuovo declinò la testa. Ancora una volta.
Ecco, ora era soddisfatto.
Mr Eye…
Si, gli piaceva.
Pensò che per Revenger avrebbe dovuto creare un
cattivo esemplare. Eppure Mr Eye non sembrava così crudele e spietato. E se il
cattivo fosse stato proprio lui?
La luce nella sua stanza si accese improvvisamente.
Samuel sorrise automaticamente: era già ora di
cena.
Forse Revenger avrebbe scelto il male minore.
-Finalmente!-.
O forse non lo avrebbe fatto. In fondo perché
scegliere il male minore?
Due braccia sottili si spinsero verso di lui e Samuel
le sfiorò. Sistemò il disegno sul muro con una mano mentre con l’altra, la
matita ancora intrappolata tra pollice, indice e medio, iniziò a calcolarne le
misure.
Josephine, china alle sue spalle, lo fissava
rapita. I suoi lunghi capelli scuri odoravano di minestra di verdure e uova
sode. Ma c’era anche un vago profumo di biscotti che non sfuggì a suo figlio.
-Io non ti capisco- disse, quasi in un sussurro.
Samuel si voltò nella sua direzione e la guardò negli occhi.
-Cosa?-.
Lei fece spallucce. Si rimise in piedi e,
incrociando le braccia al petto, inclinò la testa verso destra, con aria
contemplativa: -Non lo so. Sembrano tutti così tristi, Sam, come se soffrissero
per qualche cosa-.
Vista in quel modo, in quella posizione ma con uno
zinale calato sui fianchi, sembrava un allegro miscuglio di cultura e ruralità.
-Non è che sei triste anche tu piccolo?-.
Samuel appese il disegno con una puntina e
raggiunse sua madre dall’altra parte della stanza. Imitandola, assunse
perfettamente la sua stessa espressione e si prese qualche istante per
riflettere. Poi, improvvisamente, scoppiò a ridere. L’afferrò di colpo e,
cingendole la vita con un braccio, l’abbracciò quasi in una mossa di danza,
come se da un momento all’altro qualcuno potesse dare avvio ad un elegante
valzer.
-Perché dovrei essere triste?- domandò,
strizzandole un occhio e lanciandole un bacio.
Josephine si fece piccola tra le sue braccia. E si
lasciò stringere con forza. Improntò un sorriso a sua volta.
-Non lo so, tesoro, è che ultimamente…- si perse
nelle parole. Non era mai stata brava a formulare discorsi così impegnativi.
Con Samuel poi non ce n’era mai stato molto bisogno. Lui capiva sempre tutto,
prima ancora che potesse pensarlo. Scosse la testa: -Non fa niente-.
Ma ormai era tardi.
Sam la spinse verso il muro e le bloccò ogni uscita
con le braccia. Sorrideva ancora. Ammiccò.
-Dimmi tutto- borbottò, improntando un
atteggiamento il più possibile autoritario e schietto.
Josephine scosse la testa e chiuse per un istante
gli occhi. Sospirò: -Tutto bene, Sam, davvero-.
-Sicura?- la lasciò andare.
Lei annuì. Poi gli si gettò addosso e lo strinse
forte.
-Ti voglio bene- gli sussurrò all’orecchio.
Samuel sorrise ancora: -Hai fatto i biscotti?-
domandò poi, di punto in bianco.
Josephine annuì. Aveva cucinato tutto il pomeriggio
per quella sera e quasi se ne stava dimenticando. Le succedeva spesso. Le era
sempre accaduto, fin da piccola. Era fatta così. Ma non era mai stato un
problema.
Sam schioccò la lingua sul palato e si leccò le
labbra.
-Andiamo, allora: ho fame-. Si avviò verso la porta
e la spalancò per far uscire sua madre. Josephine accennò un lieve inchino per
ringraziarlo. Era stato tutto un gioco. Solo uno stupido, sciocco gioco.
-Pensavo,- disse infine, mentre scendevano
velocemente le scale per il soggiorno –sarebbe carino se una volta tanto
decorassi con i tuoi disegni il mio ricettario. Immagina che carino che
potrebbe essere: potresti creare un fumetto di stufati e torte con il frak!-.
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